La diaspora dell’automobile

Di Pier Luigi del Viscovo, Direttore Centro Studi FLEET&MOBILITY
L’automobile ha accompagnato la società occidentale attraverso il secolo scorso, detto anche secolo breve, perché iniziato forse solo dopo la Grande Guerra. È stata molto amata, e anche molto odiata. È stata un simbolo, di libertà, di benessere, di non povertà, di opposizione politica, di sviluppo industriale, di progresso, di ritmi frenetici, di città congestionate, di passeggiate fuori porta, di spazio intimo, di strumento di socializzazione e chissà di quante altre cose. Ognuno faceva riferimento all’automobile, quando la usava e quando no, chi l’aveva e chi no. Nella sua unicità era declinabile e adattabile per innumerevoli usi, sia pratici sia simbolici, evocativi.
Quelle auto, quegli oggetti, ancora girano. Le strade ne sono piene, anche troppo, in certi momenti e in certi punti. Ma noi le stiamo trasformando in qualcosa di diverso. In tante cose diverse. Ognuna probabilmente migliore di quella di prima, ma diversa. Fisicamente, è ancora lei, quell’unica automobile che ci ha accompagnato per un secolo. Ma dentro, le più recenti, hanno già il nuovo, hanno quella tecnologia che ci permette di declinarle in innumerevoli usi diversi. Più propriamente, quella tecnologia che consente a noi di avere tanti rapporti con l’automobile. A cominciare dalla classificazione del prodotto stesso, ma non solo.
Un tempo, c’erano le utilitarie e le sportive, e c’erano le macchine grandi, che significavano lusso, benessere. Chi voleva trasmettere un’immagine di sè più importante, economicamente benestante, andava in giro con un macchinone. Oggi il lusso è ampiamente disponibile su auto di uso quotidiano, personale e dunque piccole. Un tempo se ti sedevi al volante di un’auto, quella era la tua, in senso lato. Oggi magari la stessa macchina è nella tua disponibilità giusto il tempo dell’utilizzo, prima di cambiare padrone, sempre pro-tempore. Quando andavi in giro, eri tu a comunicare agli altri dove ti trovavi, se ti muovevi velocemente ovvero eri bloccato nel traffico. Se tu eri lì, voleva dire che anche la tua auto c’era. Chi notava la tua auto parcheggiata, poteva dedurre che nei paraggi ci fossi anche tu, il suo proprietario. Oggi è l’auto stessa che sta in collegamento con una pluralità di server riceventi e – nel caso – ti informa di ciò che può esserti utile. La macchina legge i segnali stradali e te li visualizza meglio. Legge i limiti di velocità e ti allerta se li hai superati. Calcola il tempo che impiegherà ad arrivare alla destinazione impostata. Se c’è una curva, curverà. Se c’è un ostacolo frenerà.

Quando l’auto era una, dipendeva dal suo guidatore in tutto e per tutto. Quelle di oggi sono in grado di farsi un check-up da sole e informarti se necessita un intervento, che sia il semplice gonfiaggio del pneumatico ovvero la sostituzione di parti usurate. Ovviamente, il cambiamento parte da noi. Abbiamo pian piano abbandonato quel legame forte, personale, che avevamo e volevamo con la nostra automobile. Ce ne siamo distaccati, per usarla all’occorrenza. Così, lei deve essere disponibile per noi e anche per altri. Deve poter dialogare, dirci dove si trova.
Consentirci di usarla senza essere in possesso delle chiavi. Tutto possibile, tutto facile. Già, ma non da tanto. È la tecnologia telematica, unita alle reti di comunicazione, che rende possibile tutto questo. E la cosa fantastica è che non bisogna necessariamente cambiare la nostra auto per accedere a questa nuova tecnologia. Possiamo anche dotare le automobili che abbiamo, magari non tutte, con dispositivi di ultima generazione e cominciare ad usare un’auto nuova. È sempre lei, all’apparenza, ma ci permette nuove cose, nuove funzioni. La bellezza della rivoluzione digitale è questa. Che puoi, entro certi limiti, aggiornare il tuo dispositivo e restare al passo.
Non sono più gradini, ma una graduale salita.